Riportiamo di seguito la meditazione dell’arcivescovo di Matera-Irsina mons. Antonio Giuseppe Caiazzo per la Domenica dellAscensione di Gesù al cielo.
Meditazione per la “Domenica dell’Ascensione di Gesù al cielo”
Raggiungere vertiginose altezze dà una sensazione di indescrivibile euforia. La prima volta che salii sul tetto di un grattacielo al 60° piano, fu a Boston, negli Stati Uniti. Era di sera, mi sembrava di essere sospeso nel vuoto: attorno a me un mondo pieno di luci e colori. A Chicago, poi, ascesi fino al 100° piano! C’era nebbia ed ero completamente avvolto dalle nuvole, sospeso nel vuoto. L’ascesa, così in alto e con una velocità incredibile, mi diede una sensazione di stupore e di gioia immensa. Spettacolo stupendo anche se ardito che non lasciava posto alla paura.
Stando in alto, capisci che non sei al di fuori o lontano dal mondo, anzi ti senti immerso nel mondo, ti senti di possederlo perché ti rendi conto che sei una piccolissima parte di una umanità in continuo movimento, in inarrestabile evoluzione. Una sola umanità fatta di uomini che percorrono le stesse strade, entrano nelle stesse case, condividono spazi comuni, respirano la stessa aria e si nutrono dei frutti dell’unica terra, nostra casa comune.
Ogni volta che celebriamo la solennità dell’Ascensione di Gesù al cielo mi ritorna questa immagine, nonostante siano passati tanti anni.
“L’avvenimento finale della vita di Cristo sulla scena della storia umana, è la sua ammirabile ascensione al Cielo, il suo passaggio da questa terra, da questo nostro mondo, a noi conoscibile, in cui noi siamo immersi come pesci nell’oceano, ad un altro mondo, ad un altro universo, ad un’altra forma di esistenza, della quale abbiamo la certezza, ma ancora scarsa notizia e, forse, nessuna esperienza…” (S. Paolo VI). Un forte legame spirituale unisce noi cristiani con Gesù, ma non ci basta: sentiamo un desiderio irrefrenabile di stare con lui, per ristabilire quel contatto fisico che l’ascensione ha interrotto. Viviamo una sorta di solitudine che tuttavia non potrà mai affievolire in noi il desiderio di ricostruire quel legame fisico e che invece dura e si rafforza nel tempo, man mano che tendiamo definitivamente a lui.
La descrizione dell’evangelista Luca è solenne perché i discepoli ricevono un’ultima benedizione che li accompagnerà per tutta la vita; esaltante in quanto vedono Gesù che si stacca da loro salendo verso il cielo; unica perché, nonostante l’assenza fisica, sono abitati dalla gioia che li riporta a Gerusalemme dove, in preghiera, vivono l’attesa di essere rivestiti della potenza dello Spirito Santo: “Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio”.
Da questo momento ogni discepolo diventa consapevole di essere il volto di Gesù che incontra altri uomini, parla con loro, si fa compagno di viaggio, offre l’amore che ha ricevuto gratuitamente e gratuitamente dona. Uomini e donne che, malgrado la fragilità tipica della condizione umana, sanno tuffarsi nel cuore misericordioso di Dio per attingere slancio e forza necessaria per sorridere a questa vita nell’attesa di vivere quella eterna.
Oggi, anche noi come i discepoli, tendiamo a guardare verso l’alto, scrutando i cieli e le profondità dell’universo, ma verrà il giorno in cui dall’alto guarderemo verso il basso, scoprendo che chi vive in Cristo, vincitore della morte, vive per sempre. La vita terrena è davvero poca cosa in confronto a quella eterna: comunione perfetta con il Dio Uno e Trino che Gesù ci ha rivelato, dove il tempo non ha inizio e fine perché noi stessi saremo il tempo senza fine.
Il Signore ci dona questo tempo terreno per costruire il suo Regno che è già in mezzo a noi, vivendo relazioni che ci fanno considerare l’altro come interlocutore unico con il quale rapportarci, chiunque esso sia. Non è stato questo il modo di agire e operare di Gesù in mezzo a noi? Non aspiriamo forse tutti a costruire una realtà in cui ci scopriamo fratelli e sorelle? Ciò che realmente ci fa sentire Chiesa in cammino verso la Chiesa celeste è sempre e comunque il desiderio della tenerezza di Dio che ci attrae a sé.
† Don Pino